martedì 17 dicembre 2013

L’uomo è chiuso in un cerchio geometrico


Nome Teoria: L’uomo è chiuso in un cerchio geometrico
Abbreviazione Teoria: Teoria Geometrica
Simbolismo: CerchioImmorale                                                                                                                 
Campi di studio: esistenzialismo, ragione, coscienza, uomo e natura, etica, simbolismo e comportamentismo.
Anno: dal 2009 a oggi
Racchiusa nel saggio: Le finestre dei pensieri
Saggio “Le finestre dei pensieri” composta da: dieci capitoli (in questi capitoli è analizzata la teoria geometrica)
Citazione che rappresenta lo studio intrapreso: “L’interesse è l’arché dell’inconcepibile umano”.

La teoria dalla sua genesi e al suo significato:
L’impostazione di una “Teoria Geometrica” iniziò dal lontano 2009, quando mi trovai durante il mio percorso universitario, a studiare le fondamenta del pensiero filosofico che successivamente divenne fonte della mia speculazione filosofica. Da qui, nacque l’esigenza di ricercare un principio-fondamentoche fungesse da generatore imperituro di ogni mio “postulato”. Dopo anni, di osservazioni e studio, arrivai alla conclusione che si trattava semplicemente dell’insieme tra: Simbolismo; etica e comportamentismo. Questo è da allora il mio campo di ricerca che si accentra nello studio del comportamento dell’uomo. Studio la sua crescita, la sua espansione, la sua presenza nel mondo e il suo modo di vivere nel tempo. Studio, quegli elementi che credo siano fonte di un simbolismo imperituro nell’uomo. Tengo fede alla parola greca Ethos (ἦθος), che sta a significare: costume, comportamento, consuetudine. 

In tutto questo, nasce la mia “Teoria Geometrica” che si propaga su un forte malessere dell’uomo, e su quelle sensazioni che egli ha conseguito nel tempo. La teoria, è stata in maniera non del tutto analitica, sviluppata nel saggio “Le finestre dei pensieri” che ho pubblicato con la Booksprint nel 2011. In questo saggio, il termine “geometria” appare nel capitolo sulle finestre dell’imperialismo, e spiega in parte il culmine dell’azione dell’uomo.  Colgo, l’occasione per spiegare che il saggio “Le finestre dei pensieri” si aggira intorno alla metafora della finestra temporale sui pensieri dell’uomo. Il saggio, studia ciò che c’è dietro al pensiero ed esprime una forma di comportamento non naturale dell’uomo. Descrive il tutto, con una carrellata di teorie o supposizioni che in realtà hanno un fine comune, ossia, quello di delineare le fondamenta della mia “Teoria Geometrica”.


Teoria Geometrica:
Per prima voglio precisare che la denominazione “teoria geometrica” è solo una mera abbreviazione per agevolare il riconoscimento della stessa. In realtà, la teoria prende il nome di: <<L’uomo è chiuso in un cerchio geometrico>>. Essa è rappresentata anche da una raffigurazione che scandisce lo status del ragionamento. Tale raffigurazione prende il nome di: <<Cerchio Immorale>>. 

Spiegazione temporale:
Dopo aver chiarito i caratteri della sua genesi, è giunto il momento di delineare in breve i caratteri fondamentali della teoria.
Dall’analisi dell’azione dell’uomo si è arrivati alla conclusione che egli vive condizionato dalla sua esistenza. Tale condizionamento l’ha portato ad arricchire quelle azioni identificate nella pressione, nella schieramento, nell’interesse e nel sublime concetto dell’immortalità. Egli è condizionato, nonostante la sua evoluzione, da questi elementi che non gli permettono di vivere meglio il suo tempo.
Nel grafico, sono evidenziati tutti gli elementi sopra menzionati ed essi si uniscono per formare la condizionatezza dell’uomo moderno.
Consideriamo dapprima che la forza dell’agire per l’azione di un singolo individuo, a volte è più determinante del resto delle annotazioni perseguibili. In tal caso, si determina un movimento circolare definito irregolare. Questo movimento, delinea successivamente, la visione di un “Cerchio Immorale” che ha definito, secondo il mio punto di vista, i caratteri del mondo umano. La visione è sia visibile e sia non visibile, poiché si tratta il più delle volte di un cerchio che potremmo definire trascendentale e per questo non sempre disponibile.
All’interno del cerchio, sopra rappresentato, si ha un movimento legato all’azione dell’uomo non regolare. Infatti, il nucleo centrale del cerchio è dato da quella che è chiamata “espansione”. Ciò si riferisce alla accrescimento dell’uomo durante i suoi lustri terreni e al suo predominio del mondo. Il nucleo centrale fornisce le informazioni agli altri elementi che delineano l’azione dell’uomo. La parte bassa del cerchio, è caratterizzata dall’evoluzione da una parte e dall’altra lo schieramento. Dall’altre parte, l’uomo si evolve nel quotidiano per schierarsi successivamente dinnanzi a qualsiasi enunciato. Nella parte alta del cerchio, si ha l’immortalità che è data dal quel sentimento di onnipotenza ravvisabile in ogni uomo. Il nucleo centrale del cerchio, però è anche composto da pressione e interesseche fungono da pilastri per il predominio dell’uomo. L’insieme di questi elementi è data dal movimento generato per prima dalla schieramento, successivamente dalla pressione che unisce l’interesse che a sua volta unisce l’immortalità. Il tutto culmina, nell’evoluzione dell’uomo.  Sono elementi tra l’altro che evidenziano una malessere incondizionato del nostro tempo e generano un’azione immorale dell’uomo. Da qui, il nome di “cerchio immorale”. Spiego il motivo di questa mia convinzione.

Prima convinzione: L’etica è moralità           
La moralità sta alla base di ogni percezione dell’uomo ed egli affronta la sua azione e il suo agire tramite essa. Infatti, la morale è per definizione «diretta norma la quale l’uomo agisce». Tutto è posto nell’uomo secondo un effettivo credo morale. L’uomo vive freneticamente alla presenza della sua visione morale. E di conseguenza in base alla sua moralità agisce. Il tutto però è dovuto ai suoi comportamenti giornalieri mentre vive la sua normale routine. A volte questi comportamenti sono dettati anche dal considerare un’azione che può essere vista sia giusta e sia sbagliata. Detto questo, c’è da dire che il termine morale deriva dal sostantivo latino “moràlia” che lo fa coincidere con l’etica. Ad ogni modo la legge morale che attanaglia da sempre l’uomo è stata anche definita come se fosse l’oggetto dell’etica. Per converso, tra il concetto di etica e quello di morale non ci può essere a mio avviso disunione ma solo un’unione verso un unico obiettivo, ossia, capire lo stadio dei comportamenti dell’uomo. L’etica studia quelle che sono le virtù dell’uomo che Aristotele annoverava in: 1- intellettiva (dianoetica) che bramava l’esercizio della “ratio essenti”; 2- morale (etica) che indicava il dominio delle ragioni sulle coscienze sensibili. In effetti, Aristotele non sbagliava e ci ha offerto una visione cosciente del problema anche nei nostri giorni. Tutti noi abbiamo a che fare con la nostra coscienza che ci compila le domande cui ogni giorno dobbiamo darle una risposta. La morale è quella legge prettamente detta che ci condiziona la nostra esistenza. Essa è una condizione non tangibile ma tecnicamente probabile. Non è tangibile poiché essa è come tra l’altro annovera il grande Aristotele, avviene dopo la fisica, ossia dopo tutto ciò che è nato da materia e da una sostanza. La morale non è un ente che tocchiamo con mano, ma essa è un’essenza della nostra vita. Essa è una guida spirituale del nostro cammino di vita, è quello che Spinoza chiamava “Deus Sive Nature”, è quell’ente che per i presocratici era l’arché (dal greco ἀρχή), in altre parole, il principio originario del tutto.

Seconda convinzione: L’etica è condizione dell’uomo
Alla fine dello studio sull'etica, sono arrivato alla conclusione che essa sia l’ente che condiziona l’esistenza dell’uomo. Perché dico questo?Non bisogna più pensare a un’etica tecnicamente arcaica con l’accesso solo a chi vuole cimentarsi in tale amplesso dell’uomo. Bisogna spostare il giudizio sull'etica ai nostri giorni. Basta girarsi intorno per capire cosa ha costruito l’uomo in questi anni. Insomma bisogna dare uno sguardo moderno del problema. Per farla in breve, io credo che il concetto di “ethos” e di tutti i suoi derivati è da sempre associato allo studio dei grandi pensatori che diedero lustro al mondo umano. Il mio intento qui è quello, però, di spostare l’orizzonte della ricerca verso un altro aspetto che è il più fondamentale di tutti. L’uomo è artefice e carnefice della sua stessa visione morale. Egli è fautore di quel principio-fondamentoche oggi si ravvede nel concetto d’interesse e in esso, trova la sua giusta sistemazione. In effetti, io credo che: <<L’interesse è l’arché dell’inconcepibile umano>>. Tutto ruota attraverso tale termine e tutto è condizionato dall’interesse. Si ama per interesse, si sta in compagnia per interesse, si studia per interesse, si esce con gli amici per interesse. Si guarda verso la società civile e soprattutto verso la politica con interesse. Se la società civile ci offre qualcosa e la politica anche, allora ci accostiamo ad essi, altrimenti diciamo che non ci interessano perché non ci guadagniamo niente. L’interesse muove tutto e smuove ogni passo della nostra vita.  Oggi di tali aspetti è detentrice la “massa” che ha il primato e manipola la menti di tutti. In tal caso, questi aspetti sin qui studiati, si trasformano in una manifestazione che trova il culmine nell’enunciazioni di luoghi comuni. Il più delle volte non si riconosce neanche la provenienza di questi luoghi comuni ma si annoverano sbandierandoli come se fossero il trionfo più grande della nostra vita. Per capirci meglio. A oggi non è etico cimentarsi nelle problematiche che accomunano l’uomo per cercare di raccogliere i frutti migliori e aspettare la fioritura per raccogliere e crescere il fabbisogno che ogni uomo aspetta. Oggi non è etico andare contro quel “mainstream” che è ormai un fenomeno dilagante del nostro tempo. Oggi non è etico formulare uno “stream of consciousness” che possa scavalcare una diaspora tra un mondo irrisorio e un mondo conoscitivo. Oggi invece conta prendersi il cellulare all’ultimo “grido”, la scarpa all’ultima moda, vestirsi seguendo gli ”style” del momento e inseguendo miti televisivi e programmi televisivi che hanno solo il compito di intrattiene re e non di dare al pubblico un servizio utile. Ciò che è più facile dire è che l’uomo ha perso la bussola della sua vita e del suo tempo e non riesce più a ottimizzare al meglio quelle che sono le sue più ovvie necessità che da sempre hanno stimolato la sua esistenza. Guardiamoci attorno e capiremo che forse è ora di cambiare il “trand” che l’uomo si è posto vivendo il suo tempo nell'era odierna.


Tornando al Cerchio Immorale:
Analizziamo le fonti del cerchio.
Pressione: La pressione è quell’elemento che generalmente tiene in piedi un essere umano. Essa può essere alta o bassa a seconda degli oggetti e delle persone. Nel caso di specie, la pressione è definibile in: a) assoluta; b) relativa. La prima determina la fase in cui è esercitata. La seconda determina la pressione differenziale che si cerca di percepire nell’azione dell’uomo[1]. In tal caso, a mio avviso, l’uomo sarà sempre costretto a vivere sotto pressione. Vivendo sotto pressione, agisce il più delle volte, senza alcun “ratio”, su quello che in quel momento sta compiendo. Agisce considerando per giuste, l’azione che in egual misura gli sono preimpostate dall’evoluzione del suo tempo e dal vivere del suo tempo. A mio avviso, ciò ha predisposto un evoluzionismo al contrario che ha contributo alla formazione al “degrado” della società contemporanea che vive assecondando scelte già indirizzate e vive secondo sillogismi già vidimati. La pressione, è a mio avviso, la chiave dell’armonia umana. Un’armonia che si è persa nel tempo. Si ha la sensazione che per via della pressione, l’uomo si sente a volte, fermo come un “manichino fermo e avido all’ascolto[2]”.

L’interesse: Tutto ruota attraverso tale termine e tutto è condizionato dall’interesse. Si ama per interesse, si sta in compagnia per interesse, si studia per interesse, si esce con gli amici per interesse. Si guarda verso la società civile e soprattutto verso la politica con interesse. Se la società civile ci offre qualcosa e la politica anche, allora ci accostiamo ad essi, altrimenti diciamo che non ci interessano perché non ci guadagniamo niente. L’interesse muove tutto e smuove ogni passo della nostra vita.  Oggi di tali aspetti è detentrice la “massa” che ha il primato e manipola la menti di tutti. In tal caso, questi aspetti sin qui studiati, si trasformano in una manifestazione che trova il culmine nell’enunciazioni di luoghi comuni. Il più delle volte non si riconosce neanche la provenienza di questi luoghi comuni ma si annoverano sbandierandoli come se fossero il trionfo più grande della nostra vita. Da qui, <<L’interesse è l’arché dell’inconcepibile umano>>.
Schieramento:
Nel saggio “Le finestre dei pensieri” ho dato un’idea palese di tale concetto qui preso a specie. Infatti, nel capitolo “Le finestre della natura umana” ho definito i caratteri dello schieramento dal mio punto di vista. Riporto quanto già scritto nel saggio menzionato.
(…..)L’uomo, fondamentalmente, già dal momento in cui persegue un pensiero e lo rende principio, si schiera o per questo principio o per quello. La sua vita è piena di momenti in cui vale la pena schierarsi o val la pena non schierarsi. Si schiera quando forma un pensiero, quando forma la sue organizzazione, quando delinea le sue attività, quando freme per mettersi dinanzi agli altri. Si schiera anche quando vuole a tutti costi proliferare enunciati, ma in realtà lo fa solo per mettersi in prima linea e non vuole veramente dire qualcosa d’interessante. L’importante è schierarsi, e mettere un’ ordine alla vera realtà delle cose. Nel suo schierarsi vorrebbe che l’ordine proposto fosse quello unico e universale e nella maggior parte delle ipotesi non accetta il parere sfavorevole. Nel suo schierarsi è come se si mettesse dentro a delle trincee per difendersi dagli attacchi dei suoi simili. Questi attacchi non sono attacchi nel vero senso della parola. Essi sono enunciati che non viaggiano nella stessa direzione di chi realmente si schiera. L’uomo che si schiera si presta a formare pensieri che a lui sembrano perfettibili mentre ai suoi interlocutori sembrano innocui. Schierandosi egli assapora l’ebbrezza di esprimere il suo pensiero che a volte è un pensiero unico senza restrizione e senza alcuna accettazione di critica. Egli non accetta la critica e non vuole il giudizio da chi lo ascolta. Egli si schiera fedelmente e crede fedelmente alle sue idee e ai suoi pensieri. Egli si schiera come se fosse sempre in un continuo autodifendersi da attacchi che i suoi simili gli infliggono. Si schiera quasi come se fosse allineato come i pianeti che formano il sistema solare. Si schiera come se fosse allineato a un materialismo che è espressamente una «tendenza ad apprezzare solo i beni materiali e i piaceri materiali». Attraverso gli uni e gli altri l’uomo si schiera e si sente fiero del suo dire e del suo fare. Si schiera senza tener conto, a volte, della conseguenze. Si schiera vicino a qualsiasi enunciato e a volte si schiera dietro a parole, frasi, enunciati, detti da pensatori e per i quali l’uomo in sé e per sé si nasconde e si sente fortificato. Nella maggior parte delle ipotesi non conosce né chi lo ha enunciato e eppure il motivo per il quale è stato enunciato. Il materialismo fa schierare e lui si sente protetto. Materialmente, usando gli oggetti più innovativi e le attività più in auge si sente forte e invincibile. Egli usa il materialismo e si schiera con esso nella dama che ospita la vita umana. Il gioco della dama prevede l’utilizzo di due giocatori. L’uno è il materialismo e l’altro è l’uomo che si schiera. Si gioca con 24 pedine che si muovono da una sola casella alla volta. Si muovono in diagonale e in avanti. Si possono mangiare gli avversari scavalcandoli. I pezzi mangiati vengono posti fuori dalla dama e quindi sono scartati in maniera temporanea dal gioco. Ogni pedina però rappresenta l’uomo. Sia quelle di colore bianco, sia per le pedine di colore nero. Quindi si hanno 24 uomini diversi gli uni dagli altri. L’unico elemento che li accomuna è il muoversi in diagonale e in avanti per l’inerzia del gioco. Ognuno però si comporta in maniera diversa. Ognuno si sposta verso la migliore posizione possibile. Spostandosi si avvicina all’altro e lo osserva, ma colui che osserva si sente perfettamente unico e indivisibile. L’altro si sposta e continua a fare lo stesso movimento. Uno si nasconde e l’altro si manifesta. Quindi, abbiamo chi si schiera perché si vuole nascondere e chi si schiera per rendersi manifesto. Chi si nasconde osserva e cerca di capire le gesta e i pensieri che caratterizzano l’uomo. Chi si manifesta cerca sempre di avviare una situazione che gli doni la possibilità di essere osservato. Si manifesta perché vuole farsi notare. Paradossalmente, chi si nasconde si sente bene a stare insieme agli altri. Chi si manifesta lo fa solo per apparire. Schierandosi quindi, egli appare e manifestandosi si sente libero.[3]
 Immortalità:
Dall’insieme di elementi come la pressione, l’interesse e lo schieramento, nasce il sentimento dell’immortalità. L’uomo vive il suo tempo, sentendosi onnisciente e onnipotente. Si sente, generato da un ente che non determina in alcun modo il suo perire. Si sente, per via della sua condizionatezzaespressa in quest’articolo in lunghi tratti, immortale.
Si rende immortale, poiché nel suo dire, nel suo pensare, non è possibile tracciare una linea retta, ma è possibile determinare il suo inizio e non la sua fine. Vive in tal caso il suo tempo, all’interno di un lembo che gli garantisce protezione nel tempo e nello spazio.


Evoluzione:
Dall’insieme di elementi come la pressione, l’interesse e lo schieramento, l’evoluzione, nasce il sentimento dell’evoluzionismo. Il concetto dell’evoluzione è stato delineato nel saggio “Le finestre dei pensieri”. Nel capitolo denominato “Le finestre dell’imperialismo” ho definito in caratteri essenziali dell’evoluzione legata all’azione e all’agire dell’uomo.
Infatti, il capitolo recita:
(….)  Si dimostrerà storicamente partecipativo della propria evoluzione. Osservando la storia che sin qui ha contraddistinto l’uomo, leggiamo tra le sue righe un certo grado di colpa individuale, proiettata però dalle gesta di un solo uomo. Un solo uomo a volte è in grado di dominare intere masse e di ottenere il dono della partecipazione alle sue attività in maniera gratuita e genuina. In maniera tale che colui che diventa beneficiario di tale amplesso, forse neanche assapora l’agire provocato. L’agire nella storia focalizza e filtra quelle successioni di eventi che non sono neanche spiegabili, ma del resto essi ci sono “qui e ora”. Nell’agire della storia l’uomo non è più garante di se stesso ma è garante della globalità, poiché la storia viene tramandata in anno in anno e viene studiata per assaporare l’azione umana. La storia ci apre le finestre non materiali che in realtà dovremmo essere in possesso di certificare, ma non lo è. Non è facile aggregare unità di persone a condividere uno stesso ideale, ma è più facile che essi usino la democrazia per riuscire a migliorare il loro stato di bisogno. Un bisogno incondizionato e spregiudicato. Incondizionato, giacché non ci sono limiti; spregiudicato perché oltrepassa anche il limite stesso del non limite. Resta sempre da decifrare il perché un singolo individuo riesca a manipolare un popolo[4].


L’evoluzione è il culmine di una teoria che evidenzia la condizionatezza dell’uomo. In tal caso, aggiungo, che tutto questo, può essere considerato in una concezione di simbolismo che vede l’uomo avvicinarsi a qualsiasi enunciato grazie a tale fenomeno. Egli vede, simboli, in ogni azione che compie e con essi si identifica per vivere il suo tempo.
Nel caso di specie, il simbolismo può essere a mio avviso, ravvisato nella pura astrazione dell’identificazione del malessere che condiziona l’uomo. L’uomo è chiuso in un cerchio geometrico.
Ecco spiegata la mia teoria geometrica.




[1] A. Bagnato, Le finestre dei pensieri, Booksprint, Salerno, 2011, p. 115
[2] A. Bagnato, Le finestre dei pensieri, Booksprint, Salerno, 2011, p. 119
[3] A. Bagnato, Le finestre dei pensieri, Booksprint, Salerno, 2011, pp 79-81

[4]  A. Bagnato, Le finestre dei pensieri, Booksprint, Salerno, 2011, p.106

lunedì 2 dicembre 2013

La nostra resurrezione

La rubrica di Affari "E l’antropologo della mente?", a cura di Alessandro Bertirotti

Venerdì, 29 novembre 2013 




Esiste un modo universale grazie al quale qualsiasi persona in questo mondo, indipendentemente dall'ambiente in cui vive ed è cresciuto, recepisce i dati, le esperienze e le situazioni della realtà. In sostanza, grazie alle teorie, del secolo scorso e di Jean Piaget, unitamente alle scoperte recenti delle  neuroscienze, ora noi sappiamo che la nostra mente vive e si manifesta quando ha la possibilità di porsi in relazione con l'esterno.
La relazione primaria viene sperimentata, quasi del tutto inconsciamente, durante i nove mesi di gestazione, grazie ai quali il feto si configura lentamente come un essere vivente relazionale, ossia formato sulla base di rapporti biunivoci. Tale relazione si configura, innanzi tutto, nel rapporto madre-figlio. E sarà proprio questo primo rapporto biunivoco a determinare lo stile cognitivo di tutta la vita dell'individuo, e anche la consapevolezza della propria identità sarà il frutto di questo rapporto.
In sostanza, la vita di ogni essere umano, come di altri esseri viventi non umani, sarà il frutto del funzionamento di una mente relazionale, in grado di giungere agli alti livelli di specializzazione dei compiti grazie al continuo rispecchiamento di sé stessi con gli altri.
Questo rispecchiamento è detto anche assimilazione, per mezzo della quale ogni individuo si presta, all'interno dell'arco di vita cui è destinato, a stabilire una relazione duratura, affettiva e cognitiva con l'ambiente esterno. In questo processo, la volontà umana di conoscere si pone in secondo piano, perché quello che sostanzialmente si verifica è una assimilazione nolente, data dal fatto di trovarsi a vivere all'interno di stimoli che richiedono risposte spesso automatiche, definite riflessi. Prendere coscienza, tanto dei riflessi quanto dei propri desideri, bisogni ed obiettivi, è un passo successivo e che avviene gradatamente nel corso dell'evoluzione personale, anche attraverso crisi e dolori personali.
Nello stesso tempo è importante ricordare che il concetto scientifico di assimilazione, così come è introdotto dal Piaget, si riferisce esattamente alla funzione di modificare (integrare) l’alimento (empiricamente: il “cibo del pensiero”) incorporato per mezzo dell’interazione con l’ambiente, e con questo di conservare la struttura degli schemi operativi.
Saranno proprio queste crisi, dolori e "fermate evolutive" a determinare la nascita del sentimento di identità personale, visto che in quei momenti la nostra mente è costretta a rallentare il proprio funzionamento rivolto alla conquista degli spazi esterni per concentrarsi su se stessa, ossia sulla propria identità. È il periodo dell'adolescenza, all'interno del quale le domande sul proprio futuro, il proprio ruolo e compito all'interno della vita fioccano numerose, spesso senza risposte soddisfacenti, lasciando i giovani adulti delusi e perplessi.
È un momento evolutivo importante, perché in esso si realizza quell'accomodamento della mente al mondo esterno, confrontando i dati assimilati per integrare negli schemi esistenti le nuove informazioni ricevute dall’ambiente, in modo da modificarli senza distruggerli. Durante questo periodo, concentrato anch'esso nell'adolescenza in modo più critico, anche se presente ad ogni stadio evolutivo dell'apprendimento, le domande su se stessi sono costanti, specialmente quelle che riconducono la propria identità al mondo esterno. Ecco che troviamo così adolescenti che credono di poter cambiare il mondo con la loro volontà esclusiva, con le loro singole forze senza dover chiedere aiuto a nessuno, anche se il gruppo di appartenenza continua ad essere il luogo privilegiato nel quale rimanere coccolati.
Dopo questo periodo, entrando nell'età adulta, si opera quell'equilibrio necessario fra i dati assimilati e quelli accomodati, grazie al quale ogni persona è nelle condizioni di valutare le situazioni esistenziali adatte per esprimere se stesso, oppure tacerlo sapendo attendere il momento propizio per farlo successivamente.
È un gioco che impone a tutti noi di valutare tanto i tempi quanto gli spazi di realizzazione personale, che sono sempre mutevoli e stimolano la nostra mente a completare il proprio funzionamento cognitivo sulla base delle situazioni più o meno propizie.
Tutto questo discorso ci serve per la valutazione finale che vado a delineare: quale potrebbe essere la causa oggi di comportamenti apparenti di adolescenti poco reattivi alla necessità di andare oltre il visibile, oltre i dati concreti della vita quotidiana? Come fa un giovane ad avere speranza nel futuro quando il presente è così disastroso?
Dal mio punto di vista, la causa risiede in noi quarantenni o cinquantenni, che abbiamo abbandonato la stessa capacità da molti anni, credendo di essere giunti al punto di non ritorno, dove tutto il possibile è accaduto e le prospettive del futuro sono sempre più fievoli. In questo modo, i nostri figliassimilano la staticità degli adulti, la accomodano alle proprie speranze e ne ottengono un equilibrio all'interno del quale la meta da raggiungere si trova quasi sempre in un'altra nazione.
Ecco a cosa serve la mente: a sviluppare in ognuno di noi, senza sosta e sino alla fine, la convinzione che la nostra curiosità verso il mondo e il completamento della conoscenza verso se stessi non termina che con la morte fisica.
Penso che questo sia il concetto scientifico che si nasconde dietro l'idea di una risurrezioneoltreogni convinzione confessionale.

L'AUTORE - Alessandro Bertirotti è nato nel 1964. Si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l'Università degli Studi di Firenze. È docente di Psicologia Generale presso la Facoltà di Architettura dell'Università degli Studi di Genova e Psicologia del rischio presso la Facoltà di Ingegneria di Palermo. Il suo sito è www.alessandrobertirotti.it

domenica 24 novembre 2013

DELL'ESSERCI

AUTOPSICOGRAFIA

"Il poeta è un fingitore. 
Finge così completamente 
che arriva a fingere che è dolore 
il dolore che davvero sente. 

E quanti leggono ciò che scrive, 
nel dolore letto sentono proprio 
non i due che egli ha provato, 
ma solo quello che essi non hanno. 

E così sui binari in tondo 
gira, illudendo la ragione, 
questo trenino a molla 
che si chiama cuore."


                                  Fernando Pessoa


Dove termina la finzione ed inizia la realtà? 
Si finge per necessità di camaleontico adattamento all'esistenza stessa, dove l'esistere diventa situazione sine qua non poter "sopravvivere".
Ma se lo si fa parlando, immaginiamoci quanto non lo si sia fatto scrivendo.
Non tutto ciò che si scrive o si dice è finzione, non tutto ciò che si vive è davvero reale.
La nostra realtà diventa il nostro mondo, ciò che vediamo assume le connotazioni della realtà, da qui ci creiamo il nostro sistema di vita e da qui ne traiamo la nostra personale weltanschauung.
"L'insistenza sulla domanda", ci suggerisce Carlo Sini nel suo saggio, "Etica della scrittura" alla pagina 201 "... cioè la domanda come pratica dell'evento, è una pratica di pensiero sui generis. Essa ha una peculiarità in ciò: che non fa della domanda la premessa del dire, cioè non domanda per sapere. Ma neppure fa della domanda la premessa del tacere, come luogo di scoperta del non sapere e del non poter sapere."
Non sempre però la risposta è a portata di mano. Risposte non ce ne sono e quando la domanda si fa più insistente, si tende a voler sondare l'insondabile. Ciò che non esiste, prende corpo nel momento in cui lo si pensa, una radio è tale, anche se non presente come oggetto in quel momento lì davanti, perché la sto concettualizzando, ecco le ho dato vita! E dunque la vita? C'è, chiaro che c'è. Detta attraverso Parmenide:
"Nel poema, una dea senza nome propone al narratore di scegliere tra due strade: quella dell'essere e quella de non essere. La seconda, tuttavia, si rivela illusoria, poiché in non-essere non si può pensare né esprimere a parole. Proprio come "vedere niente" è non vedere, parlare o pensare al niente è non parlare e non pensare affatto, affrontare il nulla non porta ad alcun risultato." Jim Holt, Perché il mondo esiste?, Utet, Novara 2013, pag. 59
Quindi cos'è reale? Ciò che la nostra mente è in grado di pensare, diventa improvvisamente reale, indipendentemente che si tratti di qualcosa di concreto o di astratto. E la finzione dunque? Esiste anch'essa. Si finge perché fingendo confermo altresì la mia presenza nel mondo, e così fingo di star male per ricevere attenzioni da qualcuno distratto, fingo di sognare ad occhi aperti per attribuirmi l'"aria" da artista, ecc.
La necessità di esserci, in un dato momento, determina la scelta di
alcuni "stratagemmi" atti alla visibilità. Le accuse, mai a cose, fatti o persone, in realtà sono accuse all'esistenza stessa che, obbligandoci su questa terra in un dato periodo, ci relega in una sorta di anonimato collettivo. Esistenzialmente questa è una vera e propria mazzata fra capo e collo. Attraverso le emozioni pensate ed esternate, frutto di esperienze, ci diamo addirittura un ruolo, il ruolo degli esistenti, non dei giudici, A più Alto Giudizio saremo chiamati, ed è a Lui soltanto che dovremo lasciare la possibilità di sentenziarci per stimolarci ad intraprendere il giusto cammino. Rimanendo così in tema di realtà e finzione, attraverso le parole di Georg Groddeck nella sua opera "Il linguaggio dell'Es":
"L'occhio miope non è meno efficiente dell'occhio cosiddetto normale, semplicemente opera in altro modo. Limita l'orizzonte, alleggerisce quindi l'attività di rimozione della vista."
Ci accorgiamo che tutto ciò che vediamo, e che crea quel nostro "perimetro", detta con Ran Lahav, è solo una delle molteplici sfaccettature del tutto che vanno a comporre quella realtà, o finzione che essa sia, così come noi desideriamo che ci appaia, a tal proposito sentenzia Robert Nozick nel suo testo, "La vita pensata" alla pag. 168:
"La realtà che la persona produce o incoraggia negli altri è imputata di rimando alla sua stessa realtà."
In parole povere ci troviamo quotidianamente a vivere l'evolversi dell'esistenza assaporando con i nostri sensi e facendo sintesi attraverso le categorie del nostro intelletto. Tutto questo è reale, tutto questo è la vita stessa, nel bene e nel male. A noi spettano le scelte, sofferte, di aderire o meno a dei comportamenti che evolvendosi determineranno la nostra presenza sulla terra, al di là degli altri ma anche in contatto con essi perché se il percorso è individuale, l'andare è spesso comune a quelli con i quali ci troviamo quotidianamente a dover interagire. 
"Ogni singolo tu è una breccia aperta sul Tu eterno." Maria De Carlo, Appunti per la ricerca di una direzione - Saggio su Martin Buber, Grafie, Potenza 2013, pag. 29

Pubblicato da Francesco Iannitti COUNSELOR FILOSOFICO. LIFE COACH. FORMATORE. SCRITTORE.


venerdì 22 novembre 2013

Parlare di sogni oggi

Parlare di sogni oggi, specialmente in questa strana Italia, dove tutto sembra possibile solo quando conosci qualcuno "in alto", mentre tutto sembra impossibile in caso contrario, appare non solo un'utopia, quanto l'esercizio masochistico di tutte le persone che rimangono ai margini del successo.
Eppure, anche se possono essere molte le persone convinte di questo pensiero, in realtà io credo esattamente il contrario. Penso cioè che il motore di una nazione come la nostra, che ha saputo accogliere quasi tutte le civiltà di questo pianeta, anche con la sofferenza di trovarsi poi defraudata della sua creatività, sia la pazienza con cui vivono le persone che fanno della quotidianità il momento costruttivo e silenzioso per il futuro prossimo e remoto.
La scorsa domenica mi trovavo a Milano, precisamente a Gallarate, con 8 liceali e 3 studenti delle scuole medie, per trascorrere con loro 8 ore di studio, affrontando la questione del metodo di studio, per poter ottenere il massimo dei risultati scolastici. Sono stato invitato da un gruppo di genitori al corrente del mio impegno, morale ed etico, verso i più giovani, ossia verso coloro che saranno presto (e mi auguro persino che questo presto sia davvero anche il prima possibile…) alla guida di un vero e proprio Rinascimento italiano, quello che stiamo attendendo tutti.
Ho scritto più volte ed in varie occasioni che i nostri giovani sono e saranno all'altezza del futuro che non siamo riusciti a preparargli come avremmo dovuto, e riusciranno ad emergere dalla melma stagnante e non certo profumata nella quale ci siamo ridotti a remare, senza nemmeno scialuppe di salvataggio all'altezza delle periodiche maree cui siamo soggetti.
E domenica 17 novembre ne ho avuto la prova, meglio ancora, la riprova.
È bastato rendere questi ragazzi consapevoli di questo importante compito che li attende, di questa responsabilità allaquale affidiamo le sorti di una grande nazione come la nostra, perché la loro attenzione e la loro motivazione crescessero ad un punto tale che quel piccolo gruppo di giovani studenti è diventato l'artefice del proprio destino.
Tra un gioco e l'altro, con la scusa di imparare a dare ascolto alla parte invisibile di loro stessi e dei loro compagni, hanno lentamente scoperto che le proprie abilità scolastiche sono autentiche se scoprono prima le diverse loro capacità di comprendere, e che il risultato del loro lavoro si trova fondamentalmente nella soddisfazione di stare assieme per imparare come altre persone hanno risolto i problemi del mondo. Hanno quindi scoperto quanto il latino, il greco, la matematica e la chimica siano state le semplici espressioni dei diversi momenti storici in cui questo nostro Occidente ha posto le sue ancora continue domande, frutto del nostro essere semplicemente Uomini, diversi apparentemente ed uguali nelle nostre esigenze comuni e fondamentali.
Senza emozioni positive non si impara nulla, perché ogni forma di conoscenza è amore allo stato puro, prima ancora che incontri nella vita quella persona che lo renderà ancora più evidente e che diventerà così l'amore della nostra vita. Eppure, non potremmo mai imparare ad amare una persona, nei suoi limiti come nella sua grandezza, se prima non avremo compreso che la scuola deve trasmettere l'amore per se stessi attraverso l'amore per la conoscenza, perché ogni forma di evoluzione passa attraverso questa semplice ed antica relazione affettiva.
Non esiste mente se non nella relazione affettiva, sia fra persona e persona, quanto fra persona ed animale, oppure persona e cose.
Una volta scoperta questa verità, i giovani studenti hanno scoperto che il termine "metodo" significava per i greci anche l'adozione di una strategie che permettesse di superare il dato concreto, quello sensibile che ci fa credere di essere i padroni del mondo. E al termine di una giornata intensa, avevamo tutti un po' di lacrime agli occhi, perché sapevano che non ci saremmo rivisti forse più, dopo aver stabilito però fra noi quel rapporto di amore e comunanza che lega gli uomini di tutto il mondo al loro destino: amare la conoscenza, perché la conoscenza si trasformi in sapienza e diventi un legame che travalica tempi e luoghi.
L'AUTORE - Alessandro Bertirotti è nato nel 1964. Si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l'Università degli Studi di Firenze. È docente di Psicologia Generale presso la Facoltà di Architettura dell'Università degli Studi di Genova e Psicologia del rischio presso la Facoltà di Ingegneria di Palermo. Il suo sito è www.alessandrobertirotti.it

venerdì 8 novembre 2013

Venendo da Oriente...

La rubrica di Affari  "E l’antropologo della mente?", a cura di Alessandro Bertirotti

Venerdì, 8 novembre 2013 -
Sono perfettamente consapevole che le prime impressioni, quando si visita una città straniera, non fanno testo, specialmente nella loro totalità, anche se penso esse siano un punto di riferimento importante per intuire,almeno, il tipo di atmosfera che in quella città si respira.
Qualche giorno fa mi trovavo a Izmir (Smirne), in Turchia, come partecipante al 5° Congresso Internazionale di Economia,  per ascoltare quali prospettive e progetti economici siano alla base dei prossimi anni di sviluppo della nazione, con l'obiettivo di entrare a fare parte, entro il 2023, delle prime dieci nazionieconomicamente più importanti nel mondo.
Vi erano presenti, tra relatori e partecipanti, appartenenti alle diverse università turche e uomini politici del Paese, circa 3.000 persone, che hanno discusso, per tre giorni interi, di problemi economici, etici e sociali, tutti legati alla percezione che i cittadini hanno dello sviluppo del proprio Paese.
Il giorno dell'inaugurazione del Congresso, il 29 di ottobre, ho assistito ad una serie di relazioni interessanti, tra cui quelle del Presidente della Banca Mondiale, il Primo Ministro Turco e il Presidente della Repubblica turca, i quali hanno suscitato in me un misto di piacere e nostalgia assieme. Il piacere derivava da quello che stavo ascoltando, mentre la nostalgia da quello che oramai da anni nella nostra povera Italia non capita più di ascoltare.
Gli aspetti toccati da questi tre oratori, in genere sono stati i concetti di economia e consumismo che la globalizzazione impone, secondo i quali non potrà esservi nessun futuro per il mondo intero e per le diverse nazioni senza la consapevolezza che il progresso tecnologico è strettamente connesso a quello esistenzialedelle persone.
Le differenze di status sociale che portano le persone a sentirsi diversamente considerate (oltre che ad esserein realtà considerate diversamente), sia dalla politica che dalla giustizia (e mi riferisco a qualsiasi Stato del mondo) sono in effetti controbilanciate dallo sviluppo delle comunicazioni mondiali, siano essere reali che virtuali. La possibilità di sapere come si caratterizza la vita dei propri vicini, abitanti in nazioni anche lontane, grazie all'informazione, alla cosiddetta Società della Conoscenzaimpone a qualsiasi governo del mondol'adozione di politiche sempre più concretamente evidenti, ossia in grado di permettere un cambiamentoeffettivo dello stile di vita personale e sociale.
In questo contesto, ogni concetto di sviluppo non può più basarsi sul benessere di pochi ed il malessere di molti, anche all'interno di economie tradizionalmente avanzate, come possono considerarsi quelle attuali europee occidentali. E questo è ben chiaro in Turchia, perché, soprattutto il Primo Ministro Erdoan, nel suo discorso al Congresso, ha specificato ampiamente in che cosa consiste il sogno turco e come potrà realizzarsi: un futuro migliore per tutti, senza l'esclusione di nessuna classe sociale o gruppi etnici geograficamente localizzabili, con l'utilizzazione di risorse e ricadute economiche appartenenti all'intera nazione.
Inoltre, secondo Erdoan, per parlare effettivamente di sviluppo socio-economico non è sufficiente permettere ai diversi gruppi sociali e alle diverse etnie di sentirsi effettivamente partecipi (sia come attori, che come spettatori e fruitori) di un sogno turco condiviso, quanto legare l'innovazione alle proprie radici culturali, alla propria tradizione. E questo legame è una sorta di religioso atteggiamento verso la propria storia, le proprie conquiste culturali e la tolleranza fra le culture.
In fondo, cosa rappresenta la Turchia se non la capacità di realizzare quella osmosi tra Occidente ed Oriente, e non solo ad Istanbul? Ecco cosa si respira anche a Smirne, e non solo per le strade, ma negli atteggiamenti scientifici che caratterizzano gli studi attuali sullo sviluppo dell'economia turca: l'attenzione verso un progresso che sappia coniugare l'antico orgoglio nazionale verso le proprie tradizioni orientali ed occidentali, nella reciproca accettazione della diversità, con uno sviluppo che sia di tutti e a favore  di tutti.
Certo, la strada è certamente impervia, specialmente di fronte ai tentativi di destabilizzazione internazionale premeditata da parte di qualche interesse oltreoceano, ma è anche relativamente lunga, perché la voglia di fare, di costruire e progredire si respira, appunto, per le strade delle città che ho potuto visitare e che, purtroppo, non ha nulla a che vedere con l'atmosfera che si respira nelle strade italiane.
D'altra parte, i discorsi dei politici italiani non fanno certamente sognare, mentre alimentano, tanto nei giovani quanto nei meno giovani come me, solo incubi.

L'AUTORE - Alessandro Bertirotti è nato nel 1964. Si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l'Università degli Studi di Firenze. È docente di Psicologia Generale presso la Facoltà di Architettura dell'Università degli Studi di Genova e Psicologia del rischio presso la Facoltà di Ingegneria di Palermo. Il suo sito è www.alessandrobertirotti.it

lunedì 14 ottobre 2013

Eliminiamo il tempo

La rubrica di Affari "E l’antropologo della mente?", a cura di Alessandro Bertirotti

Venerdì, 11 ottobre 2013
Visto le cose come vanno, e non solo nel nostro Paese delle Meraviglie ma nel mondo intero, penso che sia venuto il momento di proporre un'idea che sembra provocatoria ma che in realtà potrebbe rivelarsi decisamente innovativa.
Chiedo a tutti di ragionare su questa possibilità: eliminiamo dalla nostra mente l'idea del tempo che scorre.
Sì, sembra qualcosa di molto strano, e persino impossibile, eppure ritengo che questa assenza di idea del tempo possa permetterci di fare tutti insieme un passo in avanti, antropologicamente parlando.
Vediamo, in sintesi, cosa ha prodotto in noi l'idea di tempo: a), ogni cambiamento della nostra vita, in quanto cambiamento, viene da noi inserito in un "prima" e in un "poi", inducendoci a formulare così giudizi affrettati sul cambiamento stesso. In effetti, affermando che nel "poi" siamo migliorati, significa che possiamo ritenerci soddisfatti di tale miglioramento, non calcolando che quest'ultimo traguardo non possiede il carattere di essere definitivo, perché possiamo migliorare ancora oppure, persino, peggiorare; b) la nostra mente è progettuale, dunque non possiamo fare a meno di proiettare la nostra idea di noi stessi in quello che deve ancora accadere, definendo implicitamente la situazione presente come insoddisfacente,altrimenti non progetterei nulla di diverso da quello che sono, oppure che credo di essere; c), proprio perché siamo "esseri viventi coscientemente progettuali" crediamo di poter desiderare cose realizzabili, sia con la volontà che con le motivazioni personali, confondendo la volontà stessa con la eventualità di riuscire nel nostro scopo.
Vi sarebbero altri comportamenti mentali che sono il frutto dell'idea di tempo, così come siamo soliti impiegarla nella nostra vita, ossia secondo quello che affermava già il filosofo greco Aristoteleil tempo è la misura del movimento secondo il prima ed il poi. Non voglio però qui soffermarmi su altre considerazioni, ma proseguire il ragionamento su quanto appena proposto.
Se fossimo nelle condizioni di poter eliminare dalla nostra mente le idee che ho espresso nei tre punti appena descritti, potremmo forse abbandonare l'idea presuntuosa legata al possesso delle nostre intenzioni,come se fossero davvero nostre.
Potrei, in assenza di queste tre convinzioni, per esempio, cominciare a pensare che ogni mia progettazione verso il futuro (che desidero che esista, senza nessuna garanzia scientifica che sia veramente possibile…) dipende essenzialmente da quello che mi accade nella vita, dalle persone che frequento e da quelle che non conosco ancora, e mai conoscerò. È assai probabile che proprio nelle loro mani risieda il mio successo, la mia riuscita nella vita, senza che io ne venga mai a conoscenza. Potrebbe in questo modo nascere in me la necessità di progettare la mia vita in relazione a tutti gli altri, a tutte le cose che non vedrò più quando sarò morto… ma potrei morire davvero? Sì, questa è l'unica certezza del tempo, quella per cui la mia vita è percepita lunga o breve solo sulla base di quanto amore riesco a dare e ricevere, senza calcolare che quando si riceve si dona sempre, perché ci si mette nelle condizioni di riceveredonando la nostra stessa accoglienza.
Ecco, eliminare l’idea del tempo come frutto della nostra volontà proiettata verso il futuro, credendo che in questo modo possiamo dimostrare a noi stessi che siamo noi gli artefici del nostro destino, significherebbe liberarci persino dall'idea che la storia passata sia solo il risultato della responsabilità di chi ci ha preceduto.
È probabile che persino il passato viva in me con una tale presenza da modificarlo continuamente, e, se ci pensiamo bene, quando si ama il tempo non ha inizio né fine…
L'AUTORE - Alessandro Bertirotti è nato nel 1964. Si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l'Università degli Studi di Firenze. È docente di Psicologia Generale presso la Facoltà di Architettura dell'Università degli Studi di Genova e Psicologia del rischio presso la Facoltà di Ingegneria di Palermo. Il suo sito è www.alessandrobertirotti.it