domenica 24 novembre 2013

DELL'ESSERCI

AUTOPSICOGRAFIA

"Il poeta è un fingitore. 
Finge così completamente 
che arriva a fingere che è dolore 
il dolore che davvero sente. 

E quanti leggono ciò che scrive, 
nel dolore letto sentono proprio 
non i due che egli ha provato, 
ma solo quello che essi non hanno. 

E così sui binari in tondo 
gira, illudendo la ragione, 
questo trenino a molla 
che si chiama cuore."


                                  Fernando Pessoa


Dove termina la finzione ed inizia la realtà? 
Si finge per necessità di camaleontico adattamento all'esistenza stessa, dove l'esistere diventa situazione sine qua non poter "sopravvivere".
Ma se lo si fa parlando, immaginiamoci quanto non lo si sia fatto scrivendo.
Non tutto ciò che si scrive o si dice è finzione, non tutto ciò che si vive è davvero reale.
La nostra realtà diventa il nostro mondo, ciò che vediamo assume le connotazioni della realtà, da qui ci creiamo il nostro sistema di vita e da qui ne traiamo la nostra personale weltanschauung.
"L'insistenza sulla domanda", ci suggerisce Carlo Sini nel suo saggio, "Etica della scrittura" alla pagina 201 "... cioè la domanda come pratica dell'evento, è una pratica di pensiero sui generis. Essa ha una peculiarità in ciò: che non fa della domanda la premessa del dire, cioè non domanda per sapere. Ma neppure fa della domanda la premessa del tacere, come luogo di scoperta del non sapere e del non poter sapere."
Non sempre però la risposta è a portata di mano. Risposte non ce ne sono e quando la domanda si fa più insistente, si tende a voler sondare l'insondabile. Ciò che non esiste, prende corpo nel momento in cui lo si pensa, una radio è tale, anche se non presente come oggetto in quel momento lì davanti, perché la sto concettualizzando, ecco le ho dato vita! E dunque la vita? C'è, chiaro che c'è. Detta attraverso Parmenide:
"Nel poema, una dea senza nome propone al narratore di scegliere tra due strade: quella dell'essere e quella de non essere. La seconda, tuttavia, si rivela illusoria, poiché in non-essere non si può pensare né esprimere a parole. Proprio come "vedere niente" è non vedere, parlare o pensare al niente è non parlare e non pensare affatto, affrontare il nulla non porta ad alcun risultato." Jim Holt, Perché il mondo esiste?, Utet, Novara 2013, pag. 59
Quindi cos'è reale? Ciò che la nostra mente è in grado di pensare, diventa improvvisamente reale, indipendentemente che si tratti di qualcosa di concreto o di astratto. E la finzione dunque? Esiste anch'essa. Si finge perché fingendo confermo altresì la mia presenza nel mondo, e così fingo di star male per ricevere attenzioni da qualcuno distratto, fingo di sognare ad occhi aperti per attribuirmi l'"aria" da artista, ecc.
La necessità di esserci, in un dato momento, determina la scelta di
alcuni "stratagemmi" atti alla visibilità. Le accuse, mai a cose, fatti o persone, in realtà sono accuse all'esistenza stessa che, obbligandoci su questa terra in un dato periodo, ci relega in una sorta di anonimato collettivo. Esistenzialmente questa è una vera e propria mazzata fra capo e collo. Attraverso le emozioni pensate ed esternate, frutto di esperienze, ci diamo addirittura un ruolo, il ruolo degli esistenti, non dei giudici, A più Alto Giudizio saremo chiamati, ed è a Lui soltanto che dovremo lasciare la possibilità di sentenziarci per stimolarci ad intraprendere il giusto cammino. Rimanendo così in tema di realtà e finzione, attraverso le parole di Georg Groddeck nella sua opera "Il linguaggio dell'Es":
"L'occhio miope non è meno efficiente dell'occhio cosiddetto normale, semplicemente opera in altro modo. Limita l'orizzonte, alleggerisce quindi l'attività di rimozione della vista."
Ci accorgiamo che tutto ciò che vediamo, e che crea quel nostro "perimetro", detta con Ran Lahav, è solo una delle molteplici sfaccettature del tutto che vanno a comporre quella realtà, o finzione che essa sia, così come noi desideriamo che ci appaia, a tal proposito sentenzia Robert Nozick nel suo testo, "La vita pensata" alla pag. 168:
"La realtà che la persona produce o incoraggia negli altri è imputata di rimando alla sua stessa realtà."
In parole povere ci troviamo quotidianamente a vivere l'evolversi dell'esistenza assaporando con i nostri sensi e facendo sintesi attraverso le categorie del nostro intelletto. Tutto questo è reale, tutto questo è la vita stessa, nel bene e nel male. A noi spettano le scelte, sofferte, di aderire o meno a dei comportamenti che evolvendosi determineranno la nostra presenza sulla terra, al di là degli altri ma anche in contatto con essi perché se il percorso è individuale, l'andare è spesso comune a quelli con i quali ci troviamo quotidianamente a dover interagire. 
"Ogni singolo tu è una breccia aperta sul Tu eterno." Maria De Carlo, Appunti per la ricerca di una direzione - Saggio su Martin Buber, Grafie, Potenza 2013, pag. 29

Pubblicato da Francesco Iannitti COUNSELOR FILOSOFICO. LIFE COACH. FORMATORE. SCRITTORE.


venerdì 22 novembre 2013

Parlare di sogni oggi

Parlare di sogni oggi, specialmente in questa strana Italia, dove tutto sembra possibile solo quando conosci qualcuno "in alto", mentre tutto sembra impossibile in caso contrario, appare non solo un'utopia, quanto l'esercizio masochistico di tutte le persone che rimangono ai margini del successo.
Eppure, anche se possono essere molte le persone convinte di questo pensiero, in realtà io credo esattamente il contrario. Penso cioè che il motore di una nazione come la nostra, che ha saputo accogliere quasi tutte le civiltà di questo pianeta, anche con la sofferenza di trovarsi poi defraudata della sua creatività, sia la pazienza con cui vivono le persone che fanno della quotidianità il momento costruttivo e silenzioso per il futuro prossimo e remoto.
La scorsa domenica mi trovavo a Milano, precisamente a Gallarate, con 8 liceali e 3 studenti delle scuole medie, per trascorrere con loro 8 ore di studio, affrontando la questione del metodo di studio, per poter ottenere il massimo dei risultati scolastici. Sono stato invitato da un gruppo di genitori al corrente del mio impegno, morale ed etico, verso i più giovani, ossia verso coloro che saranno presto (e mi auguro persino che questo presto sia davvero anche il prima possibile…) alla guida di un vero e proprio Rinascimento italiano, quello che stiamo attendendo tutti.
Ho scritto più volte ed in varie occasioni che i nostri giovani sono e saranno all'altezza del futuro che non siamo riusciti a preparargli come avremmo dovuto, e riusciranno ad emergere dalla melma stagnante e non certo profumata nella quale ci siamo ridotti a remare, senza nemmeno scialuppe di salvataggio all'altezza delle periodiche maree cui siamo soggetti.
E domenica 17 novembre ne ho avuto la prova, meglio ancora, la riprova.
È bastato rendere questi ragazzi consapevoli di questo importante compito che li attende, di questa responsabilità allaquale affidiamo le sorti di una grande nazione come la nostra, perché la loro attenzione e la loro motivazione crescessero ad un punto tale che quel piccolo gruppo di giovani studenti è diventato l'artefice del proprio destino.
Tra un gioco e l'altro, con la scusa di imparare a dare ascolto alla parte invisibile di loro stessi e dei loro compagni, hanno lentamente scoperto che le proprie abilità scolastiche sono autentiche se scoprono prima le diverse loro capacità di comprendere, e che il risultato del loro lavoro si trova fondamentalmente nella soddisfazione di stare assieme per imparare come altre persone hanno risolto i problemi del mondo. Hanno quindi scoperto quanto il latino, il greco, la matematica e la chimica siano state le semplici espressioni dei diversi momenti storici in cui questo nostro Occidente ha posto le sue ancora continue domande, frutto del nostro essere semplicemente Uomini, diversi apparentemente ed uguali nelle nostre esigenze comuni e fondamentali.
Senza emozioni positive non si impara nulla, perché ogni forma di conoscenza è amore allo stato puro, prima ancora che incontri nella vita quella persona che lo renderà ancora più evidente e che diventerà così l'amore della nostra vita. Eppure, non potremmo mai imparare ad amare una persona, nei suoi limiti come nella sua grandezza, se prima non avremo compreso che la scuola deve trasmettere l'amore per se stessi attraverso l'amore per la conoscenza, perché ogni forma di evoluzione passa attraverso questa semplice ed antica relazione affettiva.
Non esiste mente se non nella relazione affettiva, sia fra persona e persona, quanto fra persona ed animale, oppure persona e cose.
Una volta scoperta questa verità, i giovani studenti hanno scoperto che il termine "metodo" significava per i greci anche l'adozione di una strategie che permettesse di superare il dato concreto, quello sensibile che ci fa credere di essere i padroni del mondo. E al termine di una giornata intensa, avevamo tutti un po' di lacrime agli occhi, perché sapevano che non ci saremmo rivisti forse più, dopo aver stabilito però fra noi quel rapporto di amore e comunanza che lega gli uomini di tutto il mondo al loro destino: amare la conoscenza, perché la conoscenza si trasformi in sapienza e diventi un legame che travalica tempi e luoghi.
L'AUTORE - Alessandro Bertirotti è nato nel 1964. Si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l'Università degli Studi di Firenze. È docente di Psicologia Generale presso la Facoltà di Architettura dell'Università degli Studi di Genova e Psicologia del rischio presso la Facoltà di Ingegneria di Palermo. Il suo sito è www.alessandrobertirotti.it

venerdì 8 novembre 2013

Venendo da Oriente...

La rubrica di Affari  "E l’antropologo della mente?", a cura di Alessandro Bertirotti

Venerdì, 8 novembre 2013 -
Sono perfettamente consapevole che le prime impressioni, quando si visita una città straniera, non fanno testo, specialmente nella loro totalità, anche se penso esse siano un punto di riferimento importante per intuire,almeno, il tipo di atmosfera che in quella città si respira.
Qualche giorno fa mi trovavo a Izmir (Smirne), in Turchia, come partecipante al 5° Congresso Internazionale di Economia,  per ascoltare quali prospettive e progetti economici siano alla base dei prossimi anni di sviluppo della nazione, con l'obiettivo di entrare a fare parte, entro il 2023, delle prime dieci nazionieconomicamente più importanti nel mondo.
Vi erano presenti, tra relatori e partecipanti, appartenenti alle diverse università turche e uomini politici del Paese, circa 3.000 persone, che hanno discusso, per tre giorni interi, di problemi economici, etici e sociali, tutti legati alla percezione che i cittadini hanno dello sviluppo del proprio Paese.
Il giorno dell'inaugurazione del Congresso, il 29 di ottobre, ho assistito ad una serie di relazioni interessanti, tra cui quelle del Presidente della Banca Mondiale, il Primo Ministro Turco e il Presidente della Repubblica turca, i quali hanno suscitato in me un misto di piacere e nostalgia assieme. Il piacere derivava da quello che stavo ascoltando, mentre la nostalgia da quello che oramai da anni nella nostra povera Italia non capita più di ascoltare.
Gli aspetti toccati da questi tre oratori, in genere sono stati i concetti di economia e consumismo che la globalizzazione impone, secondo i quali non potrà esservi nessun futuro per il mondo intero e per le diverse nazioni senza la consapevolezza che il progresso tecnologico è strettamente connesso a quello esistenzialedelle persone.
Le differenze di status sociale che portano le persone a sentirsi diversamente considerate (oltre che ad esserein realtà considerate diversamente), sia dalla politica che dalla giustizia (e mi riferisco a qualsiasi Stato del mondo) sono in effetti controbilanciate dallo sviluppo delle comunicazioni mondiali, siano essere reali che virtuali. La possibilità di sapere come si caratterizza la vita dei propri vicini, abitanti in nazioni anche lontane, grazie all'informazione, alla cosiddetta Società della Conoscenzaimpone a qualsiasi governo del mondol'adozione di politiche sempre più concretamente evidenti, ossia in grado di permettere un cambiamentoeffettivo dello stile di vita personale e sociale.
In questo contesto, ogni concetto di sviluppo non può più basarsi sul benessere di pochi ed il malessere di molti, anche all'interno di economie tradizionalmente avanzate, come possono considerarsi quelle attuali europee occidentali. E questo è ben chiaro in Turchia, perché, soprattutto il Primo Ministro Erdoan, nel suo discorso al Congresso, ha specificato ampiamente in che cosa consiste il sogno turco e come potrà realizzarsi: un futuro migliore per tutti, senza l'esclusione di nessuna classe sociale o gruppi etnici geograficamente localizzabili, con l'utilizzazione di risorse e ricadute economiche appartenenti all'intera nazione.
Inoltre, secondo Erdoan, per parlare effettivamente di sviluppo socio-economico non è sufficiente permettere ai diversi gruppi sociali e alle diverse etnie di sentirsi effettivamente partecipi (sia come attori, che come spettatori e fruitori) di un sogno turco condiviso, quanto legare l'innovazione alle proprie radici culturali, alla propria tradizione. E questo legame è una sorta di religioso atteggiamento verso la propria storia, le proprie conquiste culturali e la tolleranza fra le culture.
In fondo, cosa rappresenta la Turchia se non la capacità di realizzare quella osmosi tra Occidente ed Oriente, e non solo ad Istanbul? Ecco cosa si respira anche a Smirne, e non solo per le strade, ma negli atteggiamenti scientifici che caratterizzano gli studi attuali sullo sviluppo dell'economia turca: l'attenzione verso un progresso che sappia coniugare l'antico orgoglio nazionale verso le proprie tradizioni orientali ed occidentali, nella reciproca accettazione della diversità, con uno sviluppo che sia di tutti e a favore  di tutti.
Certo, la strada è certamente impervia, specialmente di fronte ai tentativi di destabilizzazione internazionale premeditata da parte di qualche interesse oltreoceano, ma è anche relativamente lunga, perché la voglia di fare, di costruire e progredire si respira, appunto, per le strade delle città che ho potuto visitare e che, purtroppo, non ha nulla a che vedere con l'atmosfera che si respira nelle strade italiane.
D'altra parte, i discorsi dei politici italiani non fanno certamente sognare, mentre alimentano, tanto nei giovani quanto nei meno giovani come me, solo incubi.

L'AUTORE - Alessandro Bertirotti è nato nel 1964. Si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l'Università degli Studi di Firenze. È docente di Psicologia Generale presso la Facoltà di Architettura dell'Università degli Studi di Genova e Psicologia del rischio presso la Facoltà di Ingegneria di Palermo. Il suo sito è www.alessandrobertirotti.it