mercoledì 5 marzo 2014

Sulla Psicoterapia e sulla Consulenza Filosofica

Il 1879 è un anno importante per la psicologia, perché da quel momento diventa scienza staccandosi completamente dalla filosofia ed iniziando ad utilizzare gli strumenti e soprattutto il linguaggio scientifico. Tutto ciò è stato possibile grazie a W. Wundt che fonda a Lipsia il primo laboratorio scientifico, dove analizza i processi mentali con la tecnica dei tempi di reazione.
Questo approccio venne però aspramente criticato da J.B.Watson, proprio in nome del rigore tipico delle scienze, secondo il quale i fatti di coscienza studiati da Wundt sono solo il travestimento del vecchio concetto di “anima”,  quindi privo di valore scientifico. La psicologia, secondo Watson, per dirsi scienza ed essere oggettiva deve abbandonare i concetti di “psiche” e di “mente” e attenersi solo al comportamento direttamente osservabile.
Ma Watson non sapeva quello che oggi la fisica ci dice e che cioè l’atto di osservare influisce sull’oggetto dell’osservazione; l’osservatore è un elemento attivo all’interno del processo studiato, per cui anche quell’oggettività a cui Watson pensava di essere arrivato è oggi messa in discussione da quelle stesse scienze a cui la psicologia tenta di assomigliare.
Poco dopo nasce la psicoanalisi e con essa le terapie delle sofferenze mentali attraverso il colloquio.
Il suo fondatore, S. Freud, scompose l’apparato psichico in Preconscio, Coscienza e Inconscio nella Prima Topica, e successivamente, nella Seconda Topica, in Es, Io e Super Io, ma anche questo non ebbe nulla di scientifico in quanto, ci ricorda K. Jaspers, suddividendo la psiche in strutture “non si fa scienza ma si fantastica con sembianze scientifiche in modo del tutto non scientifico”.
Se dunque è stato ed è tutt'ora problematico per la psicologia porsi come scienza, lo è altrettanto l'uso di alcuni termini come quello di Psicoterapia.
Terapia è una parola che richiama ad una tecnica che, indipendentemente da chi la applica, raggiunge il suo scopo. Questo però è adatto ad un approccio medico/scientifico, ma non alla psicologia che per sua natura non può prescindere dal soggetto che applica la tecnica, poiché è proprio lui che “fa” psicologia. Ciò inoltre crea l'opinione che sia la tecnica o la teoria di riferimento a “guarire” in qualche modo i nostri malesseri, ma non è così: quello che aiuta i nostri stati d'animo è la relazione, la possibilità di condividere e di dar voce a certe emozioni rimaste incastonate in qualche angolo perduto della nostra anima, cosa che l’uomo ha sempre saputo fin da quando Platone, nel Carmide, fa dire a Socrate che ciò che cura è l’impiego di  “certi carmi magici, che sono le parole appropriate”.  Diversamente infatti non si potrebbe capire come mai teorie e tecniche anche radicalmente diverse tra loro possano raggiungere risultati simili in termini di benessere, come documenta G.O. Gabbard.
Il parlare è dunque umano, non scientifico e la tecnica senza empatia con la psicologo è inconsistente.  V’è l’illusione che quanto più uno psicologo abbia studiato, abbia fatto analisi su di sé tanto più sia in grado di comprendere il mondo interiore dell’altro: ma la vita interiore dell’altro è insondabile dall’esterno e non la si avvicina con lo studio, ma con l’empatia, che non si può imparare in nessuna università. Chissà se forse è proprio il difficile e complesso iter per diventare psicologo che fa dimenticare questa evidenza, ribadita anche da C. G. Jung che parla ai suoi pazienti “come un semplice essere umano parla con un altro”  consapevole che nessuna emozione ci è estranea poiché ogni cosa, comprese le patologie dalla schizofrenia alla depressione, esiste già dentro ciascuno, come ricorda E. Fromm.
Se dunque la psicologia si trova nell'impossibilità di studiare scientificamente la “Psiche” come può parlare di una terapia della psiche? Ecco perché è molto ambiguo e fuorviante l'utilizzo del termine “Psicoterapia”.
Sul parlare umano si basa invece la Consulenza Filosofica, che si pone come alternativa alla Psicoterapia, a cui non interessa porsi come scienza e per questo può liberarsi da tutta quella terminologia scientifica a cui invece la psicologia deve sottostare. La Consulenza Filosofica è ben consapevole del fatto che i nostri malesseri sono storici, cioè cambiano e mutano in base al contesto storico in cui essi si manifestano e quindi cambiano e mutano in base al linguaggio usato per descriverli. Ecco perché essa può parlare dei nostri disagi non come ansia, panico, paura, ma come perdita della propria strada, come smarrimento del senso della propria vita che, ad un certo momento, può adombrare l'esistenza di ognuno. La psicologia purtroppo, accorpandosi sempre di più alle scienze e alla medicina, ha finito per dimenticare il linguaggio umano su cui essa si fonda.
E così, ciò che la psicologia ha rimosso è stato preso dalla Consulenza Filosofica che sembra non aver mai dimenticato ciò che disse uno dei padri della psicoanalisi, Carl Gustav Jung, ovvero che la psicologia deve abolirsi come scienza, perché solo abolendosi come scienza raggiunge il suo scopo scientifico.


Stefano Coletta