Il 1879 è un anno importante per la psicologia, perché da
quel momento diventa scienza staccandosi completamente dalla filosofia ed
iniziando ad utilizzare gli strumenti e soprattutto il linguaggio scientifico. Tutto
ciò è stato possibile grazie a W. Wundt che fonda a Lipsia il primo laboratorio
scientifico, dove analizza i processi mentali con la tecnica dei tempi di
reazione.
Questo approccio venne però aspramente criticato da J.B.Watson,
proprio in nome del rigore tipico delle scienze, secondo il quale i fatti di
coscienza studiati da Wundt sono solo il travestimento del vecchio concetto di
“anima”, quindi privo di valore
scientifico. La psicologia, secondo Watson, per dirsi scienza ed essere
oggettiva deve abbandonare i concetti di “psiche” e di “mente” e attenersi solo
al comportamento direttamente osservabile.
Ma Watson non sapeva quello che oggi la fisica ci dice e che
cioè l’atto di osservare influisce
sull’oggetto dell’osservazione; l’osservatore è un elemento attivo
all’interno del processo studiato, per cui anche quell’oggettività a cui Watson
pensava di essere arrivato è oggi messa in discussione da quelle stesse scienze
a cui la psicologia tenta di assomigliare.
Poco dopo nasce la psicoanalisi e con essa le terapie delle
sofferenze mentali attraverso il colloquio.
Il suo fondatore, S. Freud, scompose l’apparato psichico in
Preconscio, Coscienza e Inconscio nella Prima
Topica, e successivamente, nella Seconda
Topica, in Es, Io e Super Io, ma anche questo non ebbe nulla di scientifico
in quanto, ci ricorda K. Jaspers, suddividendo la psiche in strutture “non si fa scienza ma si fantastica con
sembianze scientifiche in modo del tutto non scientifico”.
Se dunque è stato ed è tutt'ora problematico per la
psicologia porsi come scienza, lo è altrettanto l'uso di alcuni termini come
quello di Psicoterapia.
Terapia è una parola che richiama ad una tecnica che,
indipendentemente da chi la applica, raggiunge il suo scopo. Questo però è
adatto ad un approccio medico/scientifico, ma non alla psicologia che per sua
natura non può prescindere dal soggetto che applica la tecnica, poiché è
proprio lui che “fa” psicologia. Ciò inoltre crea l'opinione che sia la tecnica
o la teoria di riferimento a “guarire” in qualche modo i nostri malesseri, ma
non è così: quello che aiuta i nostri stati d'animo è la relazione, la
possibilità di condividere e di dar voce a certe emozioni rimaste incastonate
in qualche angolo perduto della nostra anima, cosa che l’uomo ha sempre saputo
fin da quando Platone, nel Carmide, fa
dire a Socrate che ciò che cura è l’impiego di “certi
carmi magici, che sono le parole appropriate”. Diversamente infatti non si potrebbe capire
come mai teorie e tecniche anche radicalmente diverse tra loro possano
raggiungere risultati simili in termini di benessere, come documenta G.O. Gabbard.
Il parlare è dunque umano, non scientifico e la tecnica senza
empatia con la psicologo è inconsistente.
V’è l’illusione che quanto più uno psicologo abbia studiato, abbia fatto
analisi su di sé tanto più sia in grado di comprendere il mondo interiore
dell’altro: ma la vita interiore dell’altro è insondabile dall’esterno e non la
si avvicina con lo studio, ma con l’empatia, che non si può imparare in nessuna
università. Chissà se forse è proprio il difficile e complesso iter per
diventare psicologo che fa dimenticare questa evidenza, ribadita anche da C. G.
Jung che parla ai suoi pazienti “come un
semplice essere umano parla con un altro” consapevole che nessuna emozione ci è estranea
poiché ogni cosa, comprese le patologie dalla schizofrenia alla depressione,
esiste già dentro ciascuno, come ricorda E. Fromm.
Se dunque la psicologia si trova nell'impossibilità di
studiare scientificamente la “Psiche” come può parlare di una terapia della
psiche? Ecco perché è molto ambiguo e fuorviante l'utilizzo del termine
“Psicoterapia”.
Sul parlare umano si basa invece la Consulenza Filosofica ,
che si pone come alternativa alla Psicoterapia, a cui non interessa porsi come
scienza e per questo può liberarsi da tutta quella terminologia scientifica a
cui invece la psicologia deve sottostare. La Consulenza Filosofica
è ben consapevole del fatto che i nostri malesseri sono storici, cioè cambiano
e mutano in base al contesto storico in cui essi si manifestano e quindi
cambiano e mutano in base al linguaggio usato per descriverli. Ecco perché essa
può parlare dei nostri disagi non come ansia, panico, paura, ma come perdita
della propria strada, come smarrimento del senso della propria vita che, ad un
certo momento, può adombrare l'esistenza di ognuno. La psicologia purtroppo, accorpandosi
sempre di più alle scienze e alla medicina, ha finito per dimenticare il
linguaggio umano su cui essa si fonda.
E così, ciò che la psicologia ha rimosso è stato preso dalla
Consulenza Filosofica che sembra non aver mai dimenticato ciò che disse uno dei
padri della psicoanalisi, Carl Gustav Jung, ovvero che la psicologia deve
abolirsi come scienza, perché solo abolendosi come scienza raggiunge il suo
scopo scientifico.
Stefano Coletta