martedì 4 febbraio 2014

Dal "mito" alla vita

Esistono in tutti gli esseri umani due fondamentali tipi di atteggiamenti: un primo, definito mentale e un secondo definitivo comportamentale.
L'atteggiamento mentale è una disposizione della nostra mente a pensare le cose del mondo in un particolare modo, e dunque interpretare la realtà secondo quel modo specifico di vedere le cose. In seguito all'adozione di questo atteggiamento, ogni essere umano è indotto a compiere le sue esperienze nel mondo e leggerle, ossia comprenderle, attribuendo ad esse un significato personale, ma nello stesso tempo culturale.
L'atteggiamento comportamentale è anch'esso una disposizione della mente a pensare le cose della realtà, ma si riferisce prevalentemente al pensiero sulle azioni, sulle condotte da adottare per il raggiungimento dei propri scopi. Parliamo cioè di quelle azioni che ci permettono di raggiungere obiettivi, adottando la condotta necessaria.

Facciamo due esempi per meglio chiarire la differenza che esiste tra questi due tipi di atteggiamenti.
Si prenda un individuo al quale piace molto viaggiare e che viaggia quasi sempre in auto, oppure in aereo. Ogni volta chedeve programmare un viaggio, magari assieme ad altre persone, egli pensa ad organizzare gli spostamenti da un luogo ad un altro utilizzando questi due mezzi di locomozione. Poiché essi rappresentano il suo modo di muoversi nel mondo,non chiederà quasi mai ad eventuali altri partecipanti al viaggio se desiderano utilizzare l'auto, l'aereo oppure preferiscano andare in treno ed in autobus. Per lui, ossia secondo il suo atteggiamento mentale verso il concetto di viaggio, gli spostamenti si fanno con l'auto e l'aereo.
Consideriamo ora, sempre come esempio, un'altra persona che di fronte allo stesso progetto, fare un viaggio, adotti un atteggiamento comportamentale: egli chiederà, innanzi tutto e a tutte le persone coinvolte, con quali mezzi preferiscano muoversi, prima ancora di pensare alla direzione verso la quale andare. Questo è un atteggiamento comportamentale,perché deriva da un atteggiamento mentale a monte che è quello di informarsi sempre sulle condizioni di benessere nelle quali devono stare le persone nelle loro attività, e che avrà come conseguenza organizzare il viaggio in uno stato di benessere per tutti i partecipanti. Il suo atteggiamento comportamentale, si dirige dunque verso quell'azione particolare del viaggio che sta programmando.
Sulla base di queste riflessioni è evidente che i due atteggiamenti si trovano spesso assai vicini fra loro, specialmente nel funzionamento della mente nella quotidianità, e non è facile identificare, se non ad un buon livello di autoconsapevolezza, i due tipi.
Possiamo però affermare che questi due tipi di atteggiamenti fanno entrambi parte della mente di ciascuno di noi. Ogni essere umano si trova a dover prendere decisioni circa i propri scopi e condotte, attuando così le relative azioni, unitamente ad azioni che si ripetono senza che la volontà individuale abbia un ruolo effettivo ed importante. In sostanza, i nostri atteggiamenti mentali derivano dal nostro vivere assieme agli altri, in un gruppoall'interno di una cultura, e si sono sedimentati nella memoria di quel gruppo attraverso molti atti che definiamo spesso con il termine di tradizione.
Per esempio, una persona che si trova a crescere, malgrado le proprie intenzioni e volontà, in un ambiente nel quale lediverse forme di violenza sono all'ordine del giorno, al di là della propria (contraria) volontà contraria verso questi atteggiamenti, è assai difficile che possa modificare gli atteggiamenti mentali e comportamentali dell'ambiente. Può invece cambiare i propri atteggiamenti comportamentali, decidendo lui stesso di non adottare forme di relazioni basate su violenza oppure soprusi. Vi è comunque in questi casi una certa possibilità di manovra verso il positivo, se l'esperienza subita non prende il sopravvento sulla condotta positiva, autonomamente messa in atto.
Dal punto di vista prettamente socio-culturale, quando alcuni comportamenti umani vengono ripetuti nel tempo con una certa frequenza, anche se sono riprovevoli, essi vengono percepiti dal gruppo come esempi da imitare, alla pari dei miti. Questo avviene perché i processi imitativi sono assai importanti per il nostro cervello, visto che la maggior parte delle nostre azioni deriva dall'osservazione di quelle altrui. Abbiamo prima fatto un esempio di come sia possibile realizzare comportamenti che contrastano con atteggiamenti mentali presenti in un preciso ambiente, ed ora si consideri, all'interno dello stesso contesto, un altro esempio. L'acquisizione di una abilità cognitiva manifestabile, come il sapere leggere e scrivere, avviene attraverso la ripetizione di gesti ed atti con i quali si esprimono quelle abilità. Nello stesso modo apprendiamo ad essere violenti, intolleranti, aggressivi; ma se, per esempio, questi atteggiamenti mentali sono presenti in un carcere perché considerati come i più adatti all'ambiente, la conseguenza è che saranno sempre più associati al "mito". In questo modo si cominciano ad apprezzare esageratamente tutti coloro che con la loro volontà (alla base di atteggiamenti comportamentali) riescono ad ottenere cioè che desiderano, anche con la forza della disonestà. Il delinquente diventa un mito per quel gruppo sociale, un punto di riferimento nel quale identificarsi, perché è lui che detta la legge e non la legge che detta a lui i comportamenti civili da perseguire. Nei luoghi in cui la legge non giunge, vige la legge del dominio spregiudicato di se stessi, come espressione mitica di una volontà senza limiti. Questo è l'Uomo, ancora oggi e nella sua sostanza più istintuale.
Ecco perché il carcere, dove tutto è limitato e limite, dove tutto è legge ed osservazione di regolamenti, si rivive lo stesso ambiente aggressivo ancestrale nel quale il più forte veniva osannato. E l'unico modo per rieducare è proprio fare riferimento, sia dal punto di vista educativo che esistenziale, agli atteggiamenti comportamentali, con in quali il detenutopuò dimostrare la propria volontà a determinare autonomamente il proprio futuro. Quando la struttura carceraria, nelle persone che la dirigono, è particolarmente attenta a stabilire un patto di solidarietà verso l'espressione della volontà personale al miglioramento di se stessi, il mito negativo del forte che vince e del duro che ottiene, si sgretola lentamente.