lunedì 12 maggio 2014

NOTE SULLA MODERNITA'

Di Federico Sollazzo (p.sollazzo@inwind.it)

(Si pubblica di seguito il testo della lettera inviata alla Associazione Nazionale Pratiche Filosofiche di Certaldo in occasione del conferimento, in data 20/05/2012, del Premio Speciale per la sezione Saggio Filosofico al Premio Nazionale di Filosofia 2012, al volume: Federico Sollazzo, Totalitarismo, democrazia, etica pubblica. Scritti di Filosofia morale, Filosofia politica, Etica, Presentazione di M. T. Pansera, Aracne, Roma 2011)

Trovandomi all’estero, come il Presidente dell’ “Associazione Nazionale Pratiche Filosofiche” dott. Mario Guarna sa, non mi è possibile partecipare alla cerimonia di premiazione di oggi, del Premio Nazionale di Filosofia. Mi trovo infatti al momento presso l’Università di Szeged (Ungheria) dove lavoro dal 2010. Il fatto che io lavori all’estero non per libera scelta, pur trovandomi bene, ma a seguito della scelta forzata derivante dal non aver potuto accedere ad analoga posizione in Italia, ed il fatto che simili condizioni siano condivise da non pochi miei più o meno giovani colleghi in pressoché tutti i campi scientifici, forse meriterebbe già di per sé una riflessione. In questa festosa circostanza però, mi limito ad inviare questa breve comunicazione, letta dal dott. Matteo Sollazzo, mio fratello e per l’occasione mio delegato, per partecipare, sia pure indirettamente, alla consegna del Premio Speciale per la sezione Saggio Filosofico all’edizione 2012 del Premio Nazionale di Filosofia, al mio volume Totalitarismo, democrazia, etica pubblica, confidando che in futuro vi possa essere occasione per una diretta e personale collaborazione con la ANPF.
Il mio ringraziamento per il riconoscimento che mi è stato voluto dare nasce non solo dal premio in sé, ma anche dal fatto che tale riconoscimento contribuisce a dare maggiore eco a quello che è il proposito di fondo del volume stesso.
In epoca moderna assistiamo infatti all’intensificarsi del processo, in atto già da prima, di restringimento del significato delle parole, che diventano così didascalie. Le parole perdono sia la possibilità di contenere una pluralità di significati sia quella di essere metafore che altri possibili ne dischiudono, e vengono ridotte a definizioni il cui significato è uno e uno soltanto, univoco e seccamente immediato, così da favorirne l’operatività funzionale a chi propone/impone quella definizione. Se il senso della filosofia è quello di problematizzare ciò che appare come ovvio, allora sono oggi da porre sotto l’occhio della filosofia termini quali totalitarismo, democrazia, etica e pubblico, termini attorno ai quali, più di altri, ruota la costruzione della società e che pertanto sono terra di conquista, di colonizzazione e monopolizzazione da parte di interessi e poteri specifici; il fatto che possa sembrare superfluo e inutile problematizzare termini sul cui significato (didascalico e univoco) siamo ormai tutti d’accordo (più per assuefazione che per scelta consapevole), conferma invece quanto sia necessario portare avanti questa problematizzazione di termini (apparentemente) ovvi. Operazione che nel volume ho cercato di fare attraverso tre grandi ambiti argomentativi quali la Filosofia Morale, problematizzazione del comportamento, la Filosofia Politica, problematizzazione delle norme, e l’Etica, problematizzazione dei valori.
Per quanto la dimensione storica sia sempre importante, la prospettiva in cui mi muovo nel volume è fondamentalmente filosofica, ovvero, finalizzata ad analizzare quale uso è stato fatto di questi termini nella modernità (a larghe righe, dall’Illuminismo ad oggi), perché ne è stato fatto un certo uso, quali conseguenze esso ha determinato e, prevedibilmente, porterà.
Una delle osservazioni più rilevanti a cui si può arrivare tramite questo approccio, è quella di riscontrare come oggi si viva all’interno di un complesso e articolato sistema di controllo supportato da una molteplicità di vettori – il più significativo dei quali è colui stesso che ne è vittima –, che si vanta di un pluralismo che è però mera maschera della sua unidimensionalità. In altre parole, benché le grandi ideologie politiche del Novecento siano crollate, questo non significa che l’ideologia in quanto tale sia venuta meno, al contrario, essa si è aggiornata e quindi rafforzata, scartando (nella forma dell’assorbimento) le sue versioni obsolete ed adeguandosi allo scenario contemporaneo (che essa stessa disegna). Siamo così passati dall’ideologia politica, all’ideologia economica e, oggi, all’ideologia tecnologica, che a ben vedere è presente in nuce in tutte le precedenti. Ciò che rende possibile un sistema ideologico è la presenza di un mito, perché laddove c’è un mito, un telos, c’è uno scopo superiore, e laddove c’è uno scopo superiore, che orienta e dispone la vita, non ci sono persone (uniche e irripetibili) ma esecutori, funzionari (seriali e sostituibili). Come ho cercato di argomentare nel volume, ci troviamo oggi in un’epoca di transizione che, a differenza delle precedenti, non segna un semplice passaggio storico ma una svolta epocale, poiché l’ideologia contemporanea, e mi riferisco qui alla razionalità tecnologica, determina per la prima volta un cambiamento radicale nella struttura biologica ed emozionale dell’uomo, portando così a compimento quella mutazione antropologica avviata nel secolo scorso. L’uomo quindi, ammesso che lo si possa ancora definire tale essendo al tempo stesso un post- e un non-uomo rispetto al precedente, per la prima volta non è più il soggetto della storia ma un semplice accessorio, in qualità di funzionario, del nuovo protagonista della storia: la tecnologia (la cui elasticità le permette di continuare ad avanzare insinuandosi in ogni spazio, fisico ed esistenziale).
Qualsiasi sarà la risposta che daremo a questo scenario, essa dipenderà dalla nostra comprensione dello scenario stesso. In accordo con la tesi arendtiana sulla banalità del male, il peggior criminale è colui che accetta ciò che viene considerato ovvio senza porsi domande a riguardo. Una conclusione sulla quale meditare, per non ridurre le idee a didascalie e non ritenere la problematizzazione dell’ovvio come un divertissement o un gioco accademico ma una necessità e una responsabilità che riguarda tutti e ciascuno. E si potrebbe cominciare, magari, dalle parole totalitarismo, democrazia, etica.

Dott. Federico Sollazzo

venerdì 2 maggio 2014

IL MOSAICO DEL BUON SENSO


È difficile affrontare, in una sola opera, tutto lo scibile umano, trattando in particolar modo le emozioni, le attitudini ed i comportamenti sociali. Al contrario, “Il mosaico del buon senso” offre una panoramica ben articolata e strutturata su argomenti di vario genere, illustrandoli in maniera spesso provocatoria e senza peli sulla lingua.
In questa miscellanea così sapientemente architettata, veniamo catapultati in un mondo che ci sembra di conoscere così bene – quello dell’essere umano – eppure, pagina dopo pagina, quelle poche certezze decadono inesorabilmente, di fronte ad un’analisi elegante e verace.
L’autore, l’illustre professore Alessandro Bertirotti, con la sua penna pungente, dipinge il quadro di un’umanità spesso dilaniata tra ciò che è e ciò che vuole apparire: per natura, noi uomini siamo socievoli, portati a costruire legami duraturi e ad intessere relazioni empatiche con i nostri simili. Ma la realtà di tutti i giorni, sovente, smentisce tali caratteristiche. Forse perché l’uomo del III millennio ha edificato il suo essere più sulla sabbia, che sulla roccia; ha preferito “vendersi” a dei cliché sociali di basso profilo, invece di aderire alla sua più profonda moralità.
“Il mosaico del buon senso” ci parla della fatica di essere uomini e donne veri in contrasto alla cultura dell’”effimero”, di rispondere alle nostre più intime necessità, dando la priorità ai fondanti valori della vita.
Veniamo, così, messi davanti a questioni “spinose”, di grandissima attualità: la sessualità, le emozioni, la condotta sociale, la famiglia, la politica… tutti temi largamente dibattuti e che conosciamo bene (o almeno così ci sembra!).
Ciò che più colpisce, in questo libro tanto breve quanto intenso, è quello che lascia dopo averlo letto: appena si termina un paragrafo, il lettore si sofferma a riflettere su quelle parole; è come costretto a fare i conti con la sua visione del mondo e perfino di se stesso, a mettere in gioco le sue credenze e – perché no – a riformularle alla luce di quanto appreso. Queste preziose pagine non lasciano indifferenti. Sicuramente, si potranno incontrare punti di vista diversi, ma un pubblico attento e curioso troverà molte chiavi di lettura, interessanti e profonde.
L’autore non vuole indorare la pillola: ci trasmette quanto siano importanti i legami familiari, quanto la scuola e le istituzioni debbano collaborare affinché si crei una società consapevole ed una nuova generazione libera, ma responsabile (e noi, oggi, sappiamo quanto sia essenziale avere dei punti di riferimento forti e stabili). Ci fa comprendere quanto sia fondamentale non solo saper godere dei momenti lieti che la vita ci offre, ma anche e soprattutto saper affrontare i momenti bui e dolorosi, perché   è proprio in quei frangenti che esce il meglio di una persona, con tutta la sua forza e capacità di risollevarsi (“Ci sono sofferenze che scavano nella persona come i buchi di un flauto, e la voce dello spirito ne esce melodiosa” – V. Brancati). Ci proietta in una dimensione fatta di connessioni cerebrali e di avvertimenti dati dal nostro cervello, perché le prime avvisaglie di sentimenti positivi o negativi provengono proprio dal nostro sistema neuronale. Ci sottolinea quanto sia vero il famoso motto “l’unione fa la forza”: in un mondo che sembra andare verso l’autodistruzione, la collaborazione e l’accettazione reciproca sono le chiavi di svolta per un futuro migliore. Ci mostra come ognuno di noi sia diverso, nella sua unicità, a partire dalla dicotomia uomo/donna, ma è da queste macro-differenze che si può costruire una società sì variegata, però sempre cooperativa ed integrata con le esigenze di ciascuno.
Ed insieme a queste realtà “favorevoli”, troviamo affiancate quelle più oscure e torbide, che spesso si annidano nell’animo umano: la tendenza di alcuni individui alla violenza, allo stupro, allo sfruttamento della prostituzione o alla pedofilia… Verità scomode e dolorose, che non vorremmo mai incontrare, ma che, ahinoi, fanno parte di questa intricata umanità.
In conclusione, dopo aver dato una personale opinione, che non vuole essere esaustiva, ma solo offrire piccoli flash, affinché altri si accostino a questa lettura, mi permetto di affermare che “Il mosaico del buon senso” è uno dei libri più difficili che abbia mai letto, non tanto nel registro stilistico o nel lessico utilizzati (anzi, da questo punto di vista, l’ho trovato molto comprensibile ed alla portata di tutti, anche di chi non ha dimestichezza con l’antropologia della mente – materia per eccellenza del nostro brillante autore): è difficile perché obbliga ad interrogarsi approfonditamente su importanti tematiche. E, si sa, mettersi in gioco non è mai cosa semplice. Perché se ne può uscire “sconfitti”. Ma credo che, in questo caso, non si tratti di sconfitta, quanto piuttosto di “arricchimento”: solo un lettore dalla mente aperta, con una buona dose di umiltà e voglia di intraprendere nuovi percorsi intellettuali, può accostarsi con piacere ed interesse all’illuminante “Il mosaico della mente”.

Chiara Serreli.