venerdì 8 novembre 2013

Venendo da Oriente...

La rubrica di Affari  "E l’antropologo della mente?", a cura di Alessandro Bertirotti

Venerdì, 8 novembre 2013 -
Sono perfettamente consapevole che le prime impressioni, quando si visita una città straniera, non fanno testo, specialmente nella loro totalità, anche se penso esse siano un punto di riferimento importante per intuire,almeno, il tipo di atmosfera che in quella città si respira.
Qualche giorno fa mi trovavo a Izmir (Smirne), in Turchia, come partecipante al 5° Congresso Internazionale di Economia,  per ascoltare quali prospettive e progetti economici siano alla base dei prossimi anni di sviluppo della nazione, con l'obiettivo di entrare a fare parte, entro il 2023, delle prime dieci nazionieconomicamente più importanti nel mondo.
Vi erano presenti, tra relatori e partecipanti, appartenenti alle diverse università turche e uomini politici del Paese, circa 3.000 persone, che hanno discusso, per tre giorni interi, di problemi economici, etici e sociali, tutti legati alla percezione che i cittadini hanno dello sviluppo del proprio Paese.
Il giorno dell'inaugurazione del Congresso, il 29 di ottobre, ho assistito ad una serie di relazioni interessanti, tra cui quelle del Presidente della Banca Mondiale, il Primo Ministro Turco e il Presidente della Repubblica turca, i quali hanno suscitato in me un misto di piacere e nostalgia assieme. Il piacere derivava da quello che stavo ascoltando, mentre la nostalgia da quello che oramai da anni nella nostra povera Italia non capita più di ascoltare.
Gli aspetti toccati da questi tre oratori, in genere sono stati i concetti di economia e consumismo che la globalizzazione impone, secondo i quali non potrà esservi nessun futuro per il mondo intero e per le diverse nazioni senza la consapevolezza che il progresso tecnologico è strettamente connesso a quello esistenzialedelle persone.
Le differenze di status sociale che portano le persone a sentirsi diversamente considerate (oltre che ad esserein realtà considerate diversamente), sia dalla politica che dalla giustizia (e mi riferisco a qualsiasi Stato del mondo) sono in effetti controbilanciate dallo sviluppo delle comunicazioni mondiali, siano essere reali che virtuali. La possibilità di sapere come si caratterizza la vita dei propri vicini, abitanti in nazioni anche lontane, grazie all'informazione, alla cosiddetta Società della Conoscenzaimpone a qualsiasi governo del mondol'adozione di politiche sempre più concretamente evidenti, ossia in grado di permettere un cambiamentoeffettivo dello stile di vita personale e sociale.
In questo contesto, ogni concetto di sviluppo non può più basarsi sul benessere di pochi ed il malessere di molti, anche all'interno di economie tradizionalmente avanzate, come possono considerarsi quelle attuali europee occidentali. E questo è ben chiaro in Turchia, perché, soprattutto il Primo Ministro Erdoan, nel suo discorso al Congresso, ha specificato ampiamente in che cosa consiste il sogno turco e come potrà realizzarsi: un futuro migliore per tutti, senza l'esclusione di nessuna classe sociale o gruppi etnici geograficamente localizzabili, con l'utilizzazione di risorse e ricadute economiche appartenenti all'intera nazione.
Inoltre, secondo Erdoan, per parlare effettivamente di sviluppo socio-economico non è sufficiente permettere ai diversi gruppi sociali e alle diverse etnie di sentirsi effettivamente partecipi (sia come attori, che come spettatori e fruitori) di un sogno turco condiviso, quanto legare l'innovazione alle proprie radici culturali, alla propria tradizione. E questo legame è una sorta di religioso atteggiamento verso la propria storia, le proprie conquiste culturali e la tolleranza fra le culture.
In fondo, cosa rappresenta la Turchia se non la capacità di realizzare quella osmosi tra Occidente ed Oriente, e non solo ad Istanbul? Ecco cosa si respira anche a Smirne, e non solo per le strade, ma negli atteggiamenti scientifici che caratterizzano gli studi attuali sullo sviluppo dell'economia turca: l'attenzione verso un progresso che sappia coniugare l'antico orgoglio nazionale verso le proprie tradizioni orientali ed occidentali, nella reciproca accettazione della diversità, con uno sviluppo che sia di tutti e a favore  di tutti.
Certo, la strada è certamente impervia, specialmente di fronte ai tentativi di destabilizzazione internazionale premeditata da parte di qualche interesse oltreoceano, ma è anche relativamente lunga, perché la voglia di fare, di costruire e progredire si respira, appunto, per le strade delle città che ho potuto visitare e che, purtroppo, non ha nulla a che vedere con l'atmosfera che si respira nelle strade italiane.
D'altra parte, i discorsi dei politici italiani non fanno certamente sognare, mentre alimentano, tanto nei giovani quanto nei meno giovani come me, solo incubi.

L'AUTORE - Alessandro Bertirotti è nato nel 1964. Si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l'Università degli Studi di Firenze. È docente di Psicologia Generale presso la Facoltà di Architettura dell'Università degli Studi di Genova e Psicologia del rischio presso la Facoltà di Ingegneria di Palermo. Il suo sito è www.alessandrobertirotti.it

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