Quella in cui cadono gli avari, in definitiva, è
un’illusione di sicurezza.
Attraverso quell’accumulo infatti, trovano protezione e
riparo rispetto dal lato transitorio e insicuro dell’esistenza, che non
accettano.
L’avarizia nella tradizione religiosa è uno dei 7 peccati
capitali, e consiste nella tendenza ad accumulare beni o denaro fini a se
stessi.
Freud, invece, riconduce l’avarizia alle prime esperienze
del bambino di ritenzione delle feci: dal piacere di “trattenersi” si passa al
piacere di trattenere beni e denaro.
L’avaro è colui che ignora la qualità di quanto accumulato,
derivando il suo piacere solo dall’accumulo in sé, che non ha alcuna mèta ne
alcun senso. Anche il denaro, ad
esempio, ha valore e senso se ci permette di essere speso, di comprare,
altrimenti perde il suo “valore”, ed è quello che capita agli avari.
L’accumulo diventa, allora, solo un filtro attraverso il
quale guardare la realtà e il mondo, nel quale l’avaro strutturerà la sua
identità esclusivamente sull’avere, e dove le cose che non si possono comprare
perderanno completamente d’importanza: da lì la difficoltà nell’amore e nelle
relazioni.
Gli avari, trattenendo presso sé beni e denari, cadono in un
illusione: quella della sicurezza. Attraverso quell’accumulo infatti, trovano
protezione e riparo rispetto al lato transitorio e insicuro dell’esistenza, che
l’avaro non accetta.
Sul carattere transitorio è imperniata tutta la cultura
orientale, in particolare lo Zen, dove il Mandala rappresenta proprio questo:
un disegno formato da sabbia, che una volta terminato, si distrugge
semplicemente ricordando la caducità delle cose, concezione questa molto
distante da quella occidentale e assolutamente lontana dalla concezione di un
avaro.
Egli diventa colui che non sa dare; che non sa vivere senza
sicurezza, senza il programmare, e che quindi ignora l’esistenza in sé, che è
apertura verso l’imprevisto.
Tra l’avaro e il mondo v’è la barriera dei suoi averi, che
gli danno quella sicurezza che le relazioni e la vita non garantiscono: non
accettando il carattere effimero dell’esistenza, si ritira dal mondo che non
offre stabilità, rifugiandosi nei suoi averi che sono la sua unica sicurezza.
Purtroppo per accumulare si finisce per rinunciare a sé e
alla propria piena realizzazione come individuo. Ecco perché Marx affermava:
“quanto meno realizzi la tua vita, tanto più hai”, ed è questo il prezzo che
gli avari pagano: se stessi in cambio di un effimero accumulo di beni
materiali.
Articolo ampliato da “L’avarizia
rovina la vita, ma uscirne si può”
pubblicato sul mensile “Dimensione Benessere” Ottobre 2013 n.7 Anno I, curato
dallo psicologo Stefano Coletta
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